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Trump e le rimesse a Cuba

una-sucursal-de-western-union_0_12_507_315-580x330Il regime di Trump annuncia il suo nuovo piano per “aiutare” il popolo cubano e sanziona l’invio di rimesse dagli Stati Uniti, con il pretesto che aiutano i militari. Più di 400 uffici della Western Union hanno dovuto chiudere sull’isola, in virtù del calcolo imperiale che offre i cubani come agnelli sacrificali per vincere voti in Florida, senza che nessuno spieghi come la “democrazia” possa essere rappresentata dal dolore delle famiglie, o perché così tante persone a Miami si prestano a collaborazioni aperte con il boia dei loro genitori, nonni e fratelli.

Un sondaggio della Florida International University certifica che il 76% dei cubani arrivati a Miami nell’ultimo decennio, con la possibilità di votare, lo farà per Donald Trump. È il segmento della popolazione che dimostra la maggiore adesione al programma del presidente, al di sopra dei bianchi nativi e dei conservatori. Alcuni studiosi di Cuba interpretano che il movimento forzato di destra di questo gruppo è un “prodotto della rivoluzione cubana”. Oppure, in altre parole, coloro che sono sbarcati a 90 miglia dall’isola non sono emigranti ma convertiti, sostenitori attivi e zelanti che hanno bisogno di dare prova della loro fede ritrovata.

Francamente, non lo credo assolutamente. La maggior parte degli emigrati cubani in qualsiasi altra città del mondo, compresi quelli negli Stati Uniti, non si comportano nel modo in cui i cubani sono rappresentati a Miami, che Trump continua a corteggiare aggressivamente sei giorni prima del voto presidenziale, come se la vita dipendesse da questo.

Non è il socialismo cubano che trasforma nel suo nemico un gruppo che realmente o presumibilmente ha sfilato fino a ieri in Plaza de la Revolución, ma una macchina dell’odio che ha messo radici in quella città e trasforma non pochi nuovi arrivati, desiderosi di essere assimilati, in esseri abietti che chiedono lo “stop” delle rimesse, per rompere i ponti familiari e punire chi è rimasto indietro. Solo a Miami si osserva questa metamorfosi, iniziata quando un piano della CIA ha deciso di installarvi una stazione segreta, la JMWAVE, e con essa la sua industria anti-Castro ed i suoi serial killer.

Ileana Ros-Lehtinen, ex deputata repubblicana della Florida ora accusata di corruzione, è arrivata al punto di dire in un’intervista del dicembre 2006 per il documentario “638 modi per uccidere Castro”: “Accolgo con favore chiunque abbia l’opportunità di assassinare Fidel Castro od un altro leader che opprime il suo popolo”.

I cittadini battistiani sbiaditi, mescolati nel cosiddetto “esilio storico”, un gruppo di emigranti multimilionari e di estrema destra hanno sostenuto finanziariamente e ideologicamente queste posizioni estreme che non di rado hanno rasentato il grottesco. Sono quelli secondo cui la parola socialista, per non dire comunista, suona come il diavolo. In questa atmosfera maccartista, la disinformazione ha raggiunto livelli così irresistibili che gli analisti hanno cominciato ad accettare che non ci sarà modo di incolpare Russia o qualsiasi altro governo straniero per la svolta che potrebbero prendere queste elezioni.

“Quando la propaganda è ‘democratizzata’, quando pubblicare non costa nulla, quando la velocità e la viralità guidano l’ecosistema dell’informazione, e quando i provocatori non affrontano conseguenze per diffamazione, letteralmente tutti hanno il potere di promuovere la disinformazione. Oggi gli Stati Uniti sono in allerta perché agitatori esterni possono provocare rivolte. Ma l’attività più controversa nella politica statunitense è prevalentemente locale ”, ha scritto recentemente la ricercatrice Reneé Di Resta su The Atlantic.

La realtà è che i cubani che arrivano a New Orleans, in California od a Madrid difficilmente agiscono in quel modo. A Miami non lo fanno quelli che sanno che, anche se superano tutte le prove, nell’universo repubblicano, gli stranieri convertiti e gli immigrati difficilmente vengono accettati come “membri a pieno titolo” del club presidenziale.

Per fortuna, in mezzo a tanti bagliori e urla di Trump, si sentono grida di buon senso e si dicono cose del genere, sui social: “Dov’è il reato di offrire un servizio che permetta ai cubani di inviare denaro alle proprie famiglie, quasi sempre per cibo e medicine? Il crimine non è offrire il servizio di rimessa, ma chiuderlo”.

(Pubblicato originariamente su La Jornada, Messico)

di Rosa Miriam Elizalde

da Cubadebate

traduzione di Ida Garberi

foto: Milenio

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