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L’Espresso: concentrato di disinformazione sull’Ecuador

Rafael Correa

Rafael Correa

Tra un’informazione corretta, precisa e puntuale sul progetto di sfruttamento delle risorse petrolifere presenti nell’Ishpingo-Tambococha-Tiputini (ITT), nel parco nazionale dello Yasuni, in Ecuador, dove andrà ad essere intaccato meno dell’1 per mille del territorio, e un’informazione parziale, strumentale, lacunosa e mistificatoria, ‘l’Espresso’ ha scelto la seconda opzione. Come sempre accade, d’altronde, quando i media italiani afferenti al circuito mainstream si occupano di America Latina.

In particolare di quei paesi, come l’Ecuador, dove pur tra tante contraddizioni e problematiche sono in atto dei poderosi programmi di trasformazione sociale che rigettano i dettami del neoliberismo, la «larga noche neoliberal» per dirla con le parole del presidente ecuadoriano Rafael Correa, che a quelle latitudini ha prodotto esclusivamente devastazione. Economica e sociale. Delle vere e proprie rivoluzioni, come in Venezuela e Bolivia per citare due paesi a caso, che ovviamente non sono ben “viste” – usando un eufemismo – nella parte settentrionale dell’emisfero americano dove credono ancora che l’America del sud sia il proprio cortile di casa, «el patio trasero».

L’obiettivo dell’articolo di “approfondimento” de ‘l’Espresso’ – corredato da una suggestiva quanto subdola galleria fotografica – è chiaro: screditare il presidente Correa e il progetto di Revolucion Ciudadana portato avanti nel paese andino. Il capo dello stato è infatti dipinto come una sorta di nuovo caudillo populista, il cui alto consenso poggia, essenzialmente, sui proventi derivanti dal petrolio, oltre che sul ferreo controllo esercitato nei confronti dei mezzi d’informazione.

Niente di più falso: basti pensare che la «Ley Organica de Comunicacion» in vigore in Ecuador considera l’informazione un bene pubblico, al pari dell’acqua per fare un esempio banale, ed è volta a favorire la nascita di nuove forme di democrazia nell’ambito della comunicazione. Come stabilisce la Costituzione ecuadoriana, una delle più avanzate al mondo. In un paese dove i media privati ebbero un ruolo determinante nel tentativo di golpe ai danni di un presidente evidentemente “scomodo”.

Tornando alla questione Yasuni, dove Correa viene descritto alla stregua di un trivellatore incallito oltre che smanioso di distruggere la più importante riserva di biodiversità a livello mondiale tra le proteste dei cittadini e delle comunità indigene, bisognerebbe forse ricordare ai giornalisti de ‘l’Espresso’ che – secondo un sondaggio condotto dalla Cedatos Gallup – il 56% circa degli ecuadoriani approva il progetto di sfruttamento delle riserve petrolifere. In primis perché ciò permetterà di «migliorare le condizioni di vita della popolazione», poi perché la «comunità internazionale non ha mantenuto le proprie promesse».

Nell’articolo viene inoltre espressa preoccupazione per le comunità indigene waorani, le cui tribù vivono nei luoghi interessati dall’estrazione del petrolio. Bene, i giornalisti della rivista forse non sanno che nel settembre del 2013 i waorani stessi, tramite il loro dirigente Gabamo Enquemo, hanno dichiarato al governo il loro appoggio al progetto estrattivo, a patto però, che anche le loro popolazioni possano trarre beneficio dalle risorse derivanti dalla vendita del petrolio.

Sulla stessa lunghezza d’onda troviamo sintonizzati anche i vari sindaci dei municipi amazzonici: le comunità locali hanno bisogno di risorse per migliorare le proprie condizioni di vita, per questo appoggiano l’intento del governo.

Insomma, da una lettura più attenta dei fatti, non sembra affatto che l’Ecuador stia sacrificando l’Amazzonia al dio profitto, come titola in maniera roboante la rivista. Innanzitutto perché l’Ecuador, che è un paese in via di sviluppo, aveva lanciato una chiara proposta all’intera comunità internazionale, con in testa i paesi ricchi: l’estrazione di petrolio non sarebbe stata avviata se fosse stato garantito al paese andino una cifra pari a circa la metà degli introiti che sarebbero stati ottenuti dallo sfruttamento della materia prima. 2,5 miliardi di euro in dodici anni, necessari per migliorare le condizioni di vita della popolazione e sradicare la povertà. I fondi messi a disposizione dopo ben 6 anni saranno di soli 10 milioni di euro, una cifra assolutamente irrisoria e insufficiente. Dunque, al presidente Correa non restò che prendere atto dell’ipocrisia dei paesi ricchi, e procedere con il progetto di sfruttamento di una minuscola, ma importante quota delle riserve petrolifere, spiegando: «Non faremo morire di fame la nostra gente per supplire all’irresponsabilità dei contaminatori globali. Andiamo a sfruttare il blocco ITT con la massima responsabilità ambientale e sociale, per superare rapidamente la povertà».

Bisogna tener conto, a tal proposito, che le trivellazioni saranno effettuate utilizzando le più recenti tecnologie disponibili, per minimizzare l’impatto ambientale. Un tipo di estrazione, che potremmo definire ‘pulita’, già messa in atto da Petroamazonas per lo sfruttamento del giacimento petrolifero Pañacocha. «Oggi esistono le tecnologie per effettuare perforazioni in maniera direzionale» spiega il Presidente del ‘Foro Energético y Minero del Ecuador’ Leonardo Carpio, «vale a dire fare un primo pozzo verticale e successivamente, nel sottosuolo, realizzare perforazioni orizzontali profonde per estrarre il petrolio senza danneggiare la parte superiore dove s’incontra la biodiversità».

Inoltre lo stesso Correa, recatosi in Amazzonia all’inizio di novembre per controllare lo stato di avanzamento dei lavori, ha confermato l’intenzione di utilizzare le più avanzate tecnologie in materia d’estrazione: «Voglio verificare che si stiano utilizzando tecnologie di punta – ha spiegato il presidente ecuadoriano – verremo a controllare con giornalisti nazionali e internazionali in modo che possano informare obiettivamente». L’obiettivo è quello di sfruttare la risorsa petrolifera per sconfiggere definitivamente la povertà, senza però la devastazione ambientale provocata da Chevron. Un vero e proprio crimine, ben documentato dal reportage fotografico realizzato da l’Espresso.

L’articolo, infine, poggia sul presupposto che l’Ecuador non sia mai stato interessato a preservare lo Yasuni, ma in realtà intenzionato a trivellare ed estrarre il petrolio. A tal fine, viene citato un documento pubblicato dal prestigioso quotidiano britannico ‘The Guardian’ dove viene mostrato come l’Ecuador più che interessato alla raccolta fondi, fosse impegnato a negoziare in gran segreto con la Cina lo sfruttamento delle risorse petrolifere presenti nell’area.

Ci troviamo di fronte, quindi, a un paese in via di sviluppo e di orientamento eco-socialista colto mentre tratta segretamente con l’energivoro gigante socialista asiatico – accusato dal mainstream di ogni nefandezza – lo sfruttamento di risorse petrolifere giacenti in un’area protetta. Un fatto tanto clamoroso quanto appetibile per certa informazione. Peccato però si tratti in realtà di un documento chiaramente contraffatto, tanto da costringere il quotidiano britannico a ritirare dal suo sito il documento manipolato.

L’autore della manipolazione risulta essere tale Fernando Villavicencio, ex sindacalista del settore petrolifero rifugiato negli Stati Uniti.

In ultima analisi, possiamo affermare senza tema di smentita che il reportage de ‘l’Espresso’, più che informare, porta uno scomposto attacco frontale all’Ecuador e al suo presidente Rafael Correa. Utilizzando tesi e tecniche di un certo «ambientalismo» molto in voga in America Latina, in quei paesi dove sono in corso rivolgimenti sociali che vanno a cozzare con gli interessi dell’impero nordamericano. Entusiasmanti rivoluzioni che hanno l’ardire di mostrare che c’è vita oltre il neoliberismo. E che vita!

di Fabrizio Verde

da Nuova Alba Informazione

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