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Il nome di Esteban Ventura vi dice qualcosa?

Esteban Ventura Novo, “L'uomo dell'abito bianco”, in aprile del 1958. Reportage di Paris Match. Foto: Paul Slade/colourise.sg

Esteban Ventura Novo, “L’uomo dell’abito bianco”, in aprile del 1958. Reportage di Paris Match. Foto: Paul Slade/colourise.sg

Lui era il proprietario del casale “El Rosario”, al sud dell’Avana. Un muro di pietra circondava un paesaggio campestre, quasi bucolico, con un cielo limpido, alberi frondosi ed erbe ondeggianti, come cullate dal vento. Al centro, la casa padronale.

La foto in bianco e nero che immortala questo paradiso istantaneo è stata presa più di sessanta anni fa. Quando, il 1 gennaio del 1959 sono arrivati i ribelli, il proprietario del casale, Esteban Ventura Novo, era in volo verso la Repubblica Domenicana sull’aereo nel quale stava fuggendo, insieme a uno scelto gruppo di suoi uomini di fiducia, il dittatore Fulgencio Batista. La rivista “Bohemia” ha raccontato in un reportage cosa hanno trovato i barbudos nella casa di campagna del più celebre torturatore di Cuba: una stanza per la musica con mobili incrostati d’oro, stanze da letto climatizzate, piscine, bar, sala da gioco, merenderos e parco giochi nei giardini, una cassaforte con conti bancari –la più modesta di $ 977.979.00-, un’arma antiaerea calibro 30, fucili M-1, 171 granate, 6 mitragliatrici con relativi proiettili e due revolver. Non c’era la biblioteca. L’unica cosa stampata in tutto il casale era un volume della guida telefonica.

Ventura Novo era conosciuto popolarmente come “l’uomo vestito di bianco” per la sua abitudine di vestire giacca e pantalone di lino bianco o di mussolina inglese. Si dava arie di aristocratico, ma era nato in assoluta povertà e la sua unica professione era quella di tagliatore di canna prima di entrare nell’Esercito. Ostentava il grado di colonnello della polizia e, sempre elegantemente vestito, era solito dare l’ordine di torturare e di assassinare con la freddezza burocratica di chi riempie un modulo e sempre a prudente distanza per non macchiarsi l’abito.

All’obitorio dell’Avana, un edificio a due piani, un po’ nascosto in mezzo alla città, sono arrivati più di 600 cadaveri di uomini e donne uccisi dalle scariche elettriche, dalle botte, impiccati o da colpi d’arma da fuoco fra il marzo del 1952 e il dicembre del 1958, anni di gloria della sua carriera in polizia. La cifra equivaleva al cinque per cento delle persone assassinate in quegli anni dagli organismi repressivi della dittatura di Fulgencio Batista, secondo il calcolo del direttore dell’obitorio pubblicato, sempre da “Bohemia”, nel febbraio 1959. Molti altri sono apparsi in seguito in cimiteri clandestini. Altri non sono mai stati ritrovati. La maggior parte erano vittime scelte a caso come monito dopo lo scoppio di una bomba, dopo l’attentato a un poliziotto o qualsiasi altra azione contro il regime che avesse una ripercussione politica.

Esteban Ventura Novo è morto di vecchiaia a Miami, a 87 anni, nel 2001. Nei suoi anni di “esilio” è entrato a far parte di vari gruppi terroristi. Ha ricevuto, in cambio della sua rimarchevole biografia, la protezione del governo degli Stati Uniti che hanno ignorato le richieste di Cuba per l’estradizione dei criminali al servizio di Batista, in virtù di un accordo risalente al 1906. Ha vissuto con l’illusione, alimentata per decenni, di ricevere indennizzi per le sue proprietà a Cuba e ha sperato fino all’ultimo giorno di vita che si producesse l’intervento “americano” nell’Isola che avrebbe concesso licenza di uccidere i sinistrorsi. Uno dei suoi ammiratori, Esteban Fernández, leggendo il necrologio in un programma radiofonico in Florida, ha invocato l’invasione dell’Isola, omaggiando i metodi del celebre assassino: “Se non c’è corda sufficiente per tanta gente, che li buttino in mare … io credo che il nostro paese ha bisogno di una grande sterilizzazione …”.

La Legge Helms Burton ha codificato e indurito dal 3 marzo 1996 il blocco degli Stati Uniti contro Cuba, ma il più scandaloso degli articoli di quella legge è rimasto congelato fino a 14 giorni fa. Dal 2 maggio gli antichi proprietari e i loro eredi che posseggano la nazionalità statunitense, sono autorizzati a rivendicare le proprietà nell’Isola ai tribunali degli Stati Uniti, compresi i discendenti di Esteban Ventura Novo che si sono affrettati a farlo. Con il sogno di tornare nel casale “El Rosario” appena la rivoluzione crollerà, possono, grazie al Titolo III della Legge Helms Burton, esigere immediatamente indennizzi da imprese di paesi terzi i cui affari con Cuba “traffichino” con gli immobili nazionalizzati e confiscati dal governo ribelle, secondo il dettato della Costituzione cubana del 1940.

William Clinton, George W. Bush, Barak Obama e perfino Donald Trump avevano congelato questa disposizione senza precedenti nella giurisprudenza mondiale. A partire dallo scorso 2 maggio, l’Imperatore Trump ha dato via libera ai reclami presso i tribunali, senza distinzione fra ladri e assassini in fuga, o veri imprenditori che avevano fatto la loro fortuna nell’Isola e che all’epoca si erano rifiutati di accettare l’indennizzo del governo cubano –come invece hanno fatto gli svizzeri, i francesi, gli spagnoli…-, perché intanto stavano organizzando l’invasione della Baia dei Porci (1961) che avrebbe dovuto restaurare la “nostra colonia di Cuba”, come avrebbe detto lo storico della Colombia University, Leland Jenks.

Il casale “El Rosario”, a 40 chilometri dall’Avana, oggi è un ospizio per anziani. Le nonne e i nonni che ci vivono, ai quali sentir parlare di Esteban Ventura Novo dà la nausea, non si turbano quando l’aria che arriva dal Nord morde di nuovo con asprezza. Come l’ira, la vendetta, la follia e il tradimento morale nell’Amleto, solo che in una messa in scena che dura da più di mezzo secolo, senza successo.

di Rosa Miriam Elizalde

da Cubadebate

traduzione di Francesco Monterisi

 

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