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Si vuole riportare l’Argentina al tempo della «buia notte neoliberista»

Mentre il circo mediatico italiano ripete senza soluzione di continuità che l’Argentina si trova in default per la seconda volta in tredici anni, la terza economia dell’America Latina ribatte: «Dire che l’Argentina è in default è una vigliaccata atomica, poiché il paese ha la liquidità per saldare i suoi impegni – ha spiegato il Ministro delle Finanze argentino Axel Kicillof – abbiamo il denaro per pagare le scadenze di questo e dei prossimi anni».

L’intento è chiaro: equiparare la situazione odierna a quella del default avvenuto nel 2001. Quello vero, provocato dal fallimento totale del modello neoliberale imposto al paese sudamericano. Quando l’Argentina sulla scorta dei «consigli» imposti da Fondo Monetario Internazionale e Banca Mondiale andava avanti a colpi di manovre (ajustes) e quando queste manovre si rivelarono insufficienti si passò alle privatizzazioni. Eufemismo utilizzato per indicare la colossale svendita del patrimonio pubblico argentino.

Una differenza abissale con l’Argentina attuale – che continua sulla strada di quella che viene definita ‘crescita inclusiva’ – dove in questi giorni comunque complicati, la ‘Presidenta’ Cristina Fernandez de Kirchner è sostenuta dal popolo. Mentre nel 2001 l’allora presidente Fernando De La Rua dovette lasciare precipitosamente in elicottero la Casa Rosada (il palazzo presidenziale) assediata da manifestanti inferociti.

I media afferenti il circuito mainstream omettono di raccontare che l’Argentina ha stanziato i fondi necessari per rimborsare il 93% dei creditori con cui aveva raggiunto un accordo per il rimborso, ma che questi sono stati bloccati perché il giudice statunitense Tomas Griesa, accogliendo il ricorso presentato dai fondi speculativi (anche denominati avvoltoi) che rappresentano il 7% dei creditori, ha condannato Buenos Aires a pagare i titoli a prezzo intero vietando al contempo all’Argentina di liquidare separatamente gli altri creditori.

Il problema origina dalla ristrutturazione del debito argentino: il 93% dei creditori, nel 2005 e poi nel 2010, hanno accettato di concedere uno sconto a Buenos Aires, mentre il restante 7% no. Una  parte consistente di questo debito – contratto ai tempi della buia notte neoliberale – è quindi stata acquistata a prezzi stracciati dai cosiddetti fondi avvoltoio, che hanno poi fatto causa all’Argentina presso un tribunale di New York per ottenere il pagamento pieno del dovuto.

Dunque, nessun default, l’Argentina ha pagato e continuerà a farlo perché come ha spiegato il ministro delle finanze: «Non soddisferemo l’1% danneggiando il 93% dei creditori».

Sulla stessa lunghezza d’onda della ‘Presidenta’ Cristina Fernandez de Kirchner che nel suo discorso  alla sessione plenaria del Mercosur ha dichiarato: «Penso che quello che stanno cercando di fare, agitando lo spettro del default non abbia senso. Il default avviene quando non si paga e l’Argentina ha pagato. Cercano inoltre di spaventarci dall’estero così come dall’interno, dicendo che se non facciamo quello che ci dicono arriveranno le 10 piaghe d’Egitto. Beh, le 10 piaghe d’Egitto le vivemmo nel 2001 quando un altro governo eseguì alla lettera gli ordini dettati dall’estero».

Inoltre il presidente argentino punta il dito contro il Fondo Monetario Internazionale, mettendo in discussione la legittimità di questo enorme debito che grava sulle spalle dell’Argentina: «Se l’Argentina si è indebitata oltre le proprie possibilità durante la decade neoliberista negli anni 90′, prendendo in prestito denaro a tassi del 13, 14 o 15% , crediamo che le responsabilità siano anche esterne. Dov’era il grande revisore mondiale, il Fondo Monetario Internazionale?».

Anche la ‘Presidenta’ ha riaffermato la volontà del paese sudamericano di rispettare gli impegni presi con la quasi totalità dei creditori: «L’Argentina ribadisce ancora una volta la sua decisione, volontà e convinzione nel voler rimborsare il 100% ai suoi creditori, ma in un modo giusto, equo, legale e sostenibile. Perché l’1% che non accetta l’accordo ha comprato i bond quando il default era già avvenuto. Ne hanno acquistati per un valore pari a 48 milioni di dollari e ottenuto con una sentenza 1600 milioni di dollari. Un profitto del 1680% rispetto al 92.4% dei creditori in buona fede, che restano centrali per il diritto internazionale».

Per quanto concerne la volontà e possibilità dell’Argentina di pagare i suoi debiti, basti pensare che sta provvedendo regolarmente anche all’estinzione del debito con il Club di Parigi (istituito nel 1956 a Parigi tra l’Argentina e le sue nazioni creditrici). Allorquando «io avevo appena tre anni – ha spiegato Cristina Fernandez de Kirchner – e il Ministro delle Finanze addirittura non era ancora nato».

Intanto un gruppo di oltre cento economisti di tutte le maggiori università del mondo, premi Nobel compresi, ha indirizzato una lettera al Congresso americano, chiedendo di mitigare l’impatto di una sentenza distorcente, che potrebbe causare un danno enorme all’intero sistema finanziario mondiale. «In particolare l’ingiunzione che attualmente blocca i pagamenti dell’Argentina al 93 per cento dei detentori di bond del Paese, potrebbe causare un danno inutile alla finanza mondiale, come anche agli interessi americani, all’Argentina e ai 15 anni di politiche americane di alleggerimento bipartisan del debito».

«È opinione largamente condivisa fra gli economisti che il tentativo di costringere l’Argentina al default che nessuno – né il debitore né il 90 per cento dei creditori – vuole, è sbagliato e dannoso» spiega Mark Weisbrot, editorialista per il quotidiano britannico ‘The Guardian’, economista e codirettore del Center for Economic and Policy Research.

Probabilmente, in realtà, le grandi «istituzioni finanziarie internazionali» unitamente ai media mainstream, agitando lo spettro del default intendevano riportare il paese al tempo della «buia notte neoliberista» quando con una pistola puntata alla tempia, l’Argentina fu letteralmente saccheggiata.  Quando, i grandi giacimenti di Loma e de la Lata finirono nella mani della Repsol per un decimo del loro reale valore, giusto per citare uno degli episodi simbolo del ‘saqueo’ argentino. Evidentemente, però, adesso i tempi sono cambiati.

di Fabrizio Verde

da www.lantidiplomatico.it

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