Notizie »

Riforma costituzionale, ramoscelli magici?

cubaSembrerebbe che non siano tempi per le favole a Cuba, benché si possa presagire che a partire dal 13 di agosto vivremo, come cittadini della Repubblica, un periodo molto peculiare che, come in una curiosa leggenda, avremo la possibilità di trasformare il tutto in un miracolo o lasciarlo sterile.  

Quando è nelle nostre mani la possibilità di discernere sul Progetto di Costituzione —che ha ricevuto recentemente l’approvazione parlamentare—, è come se per ogni capitolo ci consegnassero —come in una famosa favola—un ramoscello magico, con il quale, in base alla nostra posizione, lo faremo, o no, brillare di mille colori.

Si potrebbe affermare che questo processo costituirà la più provocatoria prova di maturità civica alla quale dovremo affrontarci noi cubani negli ultimi anni. Ciò succede —ed è necessario riconoscerlo in anticipo—dopo una lunga tappa nella quale questo tema ha sofferto un silenzio inquietante e non poche sottovalutazioni.

Le preoccupazioni in questo senso sono sorte da molte parti, da alte personalità della storia nazionale, e perfino negli intellettuali e nelle istituzioni.

Benché l’affermazione risulti controversa, e perfino discutibile, sembrava come se nel nostro paese “l’abitante” avesse superato “il cittadino” in molti spazi, per ragioni che da tempo —soprattutto dopo l’inizio del processo di attualizzazione del modello socialista e del suo accento di istituzionalizzazione —, avrebbero dovuto trascendersi.

La profonda condizione di “cittadino” non si eredita nell’atto della nascita in nessun spazio geografico, piuttosto si raggiunge, o si merita. Affinché questo si sviluppi, e finalmente si incarni, come ho difeso più volte in questa colonna, bisogna assumere un impegno serio con la complessa genetica sociale del paese.

I risultati di un’indagine del Centro degli Studi Giuridici del Ministero di Giustizia che consideravano alcuni anni fa la strategia di comunicazione per il rinvigorimento della cultura giuridica, a partire dalla percezione sociale, rivelavano i deficit che persistono in questo campo, ed i rischi che ciò implica per Cuba e la sua Rivoluzione per il carattere trasversale del Diritto.

In un intenso dialogo con gli studenti universitari, l’intellettuale Alfredo Guevara, integrante della generazione che ha combattuto la Rivoluzione e che ha abbordato con autorità e trasparenza le sue sviste, ha insistito sulla necessità che il sistema educativo, a tutti i livelli, e le istituzioni della società, appuntino ad un’educazione non solo sulla patria, ma anche sulla civiltà, per vivere in società.

Guevara reclamava l’urgenza di avere dei “cittadini”, e non solo gente che vota alle elezioni, o che esprime la sua opinione in un momento determinato, e che siano persone che vengano ascoltate, perché uno dei principi per arrivare ad essere “cittadino” sarà che il Potere Popolare smetta di essere solamente popolare e, si trasformi veramente in potere. Quanto detto prima, cioè come possano trascendere i due concetti di cittadino ed abitante, comincia a prendere precisamente forma dalla concezione stessa del testo costituzionale, che si sottometterà a dibattito nazionale.

Questo cittadino al quale aspiriamo richiede perfino una rifinitura più completa, come anche lo definiva l’integrante della Generazione del Centenario, Armando Hart Davalos, che affermava che doveva alimentarsi in un insieme di cultura, etica, diritto e politica solidale. Solo con un prestigio simile si possono affrontare, con l’altezza necessaria, i temi più infiammati che propone il nuovo progetto costituzionale, in un contesto in cui si rende più complessa, come non mai, la costruzione dei consensi. Con questo esercizio costituzionale non solo stiamo conquistando i nostri diritti, bensì consacriamo quelli degli altri, con un lucido senso di sensibilità e giustizia, insieme alla proclamazione di doveri supremi.

Non a caso Hart notava che quell’eredità del Diritto ha avuto tanta influenza nel divenire cubano che, quando hanno violentato scandalosamente Cuba sono nate due rivoluzioni. La prima dopo la proroga dei poteri del dittatore Gerardo Machado, e l’altra dopo il golpe di Stato di Fulgencio Batista.

E benché si sia rimarcato più volte in questo spazio, potremmo anche dire che gli atti libertari nell’arcipelago nacquero dalla legge, da quando i custodi dei puledri di Guaimaro hanno adattato la contesa indipendentista nascente come Costituzione.

Da allora un antimilitarismo ed una civiltà quasi inaudite sono stati presenti in ogni gesto patriottico ed emancipatore a Cuba. L’antimilitarismo è diventato quasi “belligerante” nella memoria nazionale, nonostante sia nato dall’esercito “mambì”, che rappresentava le ansie più sane di libertà e di giustizia.

Sarebbe deplorevole che l’ignoranza o la sottovalutazione di questa tradizione alimenti un’eresia storica, una profanazione della logica dello sviluppo: che invece di aprire le porte ad una rivoluzione —fonte di Diritto—come è accaduto fino ad ora, l’ignoranza o l’irriverenza alla legge apra breccia alla controrivoluzione. Allora il Diritto si prostituirebbe definitivamente, smettendo di essere fonte di giustizia, unica forma rispettabile e rivoluzionaria di legiferarlo, esigerlo ed esercitarlo.

Neanche adesso possiamo ignorare che da solo, il Diritto, non basta. Il Padre Felix Varela sosteneva che non c’è nessun dubbio che le istituzioni politiche e le leggi civili servono da protezione e da stimolo, ma non bastano per consolidare i popoli; sono come i vestiti che proteggono il corpo e lo salvano dalle intemperie, ma se il corpo è corrotto non possono guarirlo. Una prudenza sociale, frutto della moralità e della ragione, è il vero appoggio dei sistemi e delle leggi.

Quello che ci aspetta è niente meno che la conquista del più portentoso patto politico e morale che definirà la rotta della nostra nazione verso il futuro. Lo faremo con un vantaggio con cui non contano molti nel pianeta: la concezione di tutto un popolo costituente. Da tutti quelli convocati a questo atto civico sacro dipenderà se questi ramoscelli magici risplenderanno o no.

di Ricardo Ronquillo, presidente dell’UPEC, Unione dei Giornalisti di Cuba

da Juventud Rebelde

traduzione di Ida Garberi

Lascia un commento

L'indirizzo email non verrà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati. *

*