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Requiem per un sogno: Lula in prigione

Lula da SilvaIn queste ore Luiz Inacio Lula da Silva si trova in una cella a Curitiba (capoluogo del Paraná), adattandosi a quella che sarà la sua casa per i prossimi 12 anni: la prigione.

Mentre Tony Blair viaggia per il mondo e George W. Bush si riposa nel suo ranch texano, Lula invece resterà lì, dietro a delle sbarre, per 12 anni. Eppure, Bush e Blair hanno causato centinaia migliaia di morti con l’invasione dell’Iraq (650,000 civili morti solo nel triennio da marzo 2003 a giugno 2006). Inoltre, lo stesso Governo Inglese nel 2016 ha messo nero su bianco, col Rapporto Chilcot, che l’invasione dell’Iraq fu un atto criminale ingiustificato ed ingiustificabile: fu promossa con menzogne, non v’erano armi chimiche, non si perseguirono soluzioni pacifiche e fu violato apertamente il diritto internazionale (se mai ne sia esistito uno).

Cosa può aver mai fatto Lula da essere messo in galera per 12 anni, mentre restano liberi i mandanti di migliaia di morti?

Semplice: ha dato voce ai lavoratori e cercato un Brasile migliore anche per loro.

Lula è responsabile dell’aver osato un modello socialdemocratico in Brasile, togliendo dalla povertà più abietta circa 40 milioni di cittadini brasiliani (il 20% della popolazione circa). Lula è responsabile dell’aver garantito accesso all’università a 500,000 studenti poveri, spezzando un privilegio di classe per cui l’operaio non può avere il figlio dottore. Lula è responsabile dell’ingresso massiccio della classe lavoratrice, in gran parte nera o mulatta, nella vita politica del paese, scardinando ciò che prima era un monopolio privato dei ricchi, in gran parte bianchi.
Tutto ciò poteva essere, e fu, tollerato di controvoglia nel periodo delle vacche grasse: il boom delle materie prime, i cui prezzi esplosero tra il 2000 e il 2014, fu come una marea che sollevò tutte le barche, grosse e piccine. Finché la Cina continuò ad inghiottire petrolio, ferro e grano a ritmi crescenti, l’economia brasiliana, come anche altre nel Sud del mondo, crebbe vertiginosamente e si poté dare qualche briciola anche ai lavoratori.

Però ciò non poteva durare e dunque, al ritirarsi della marea, ecco la reazione violenta della classe padronale che non vuole cedere i suoi privilegi di classe: la villa ad Ipanema, i figli ad Harvard, la Maserati e i Rolex al polso.

La caduta di Dilma prima e la prigionia di Lula poi mostrano dunque la fine ed il limite del sogno brasiliano. Mentre il Partito dei Lavoratori, con il Partito Comunista del Brasile, perseguiva i diritti dei lavoratori e una più piena democrazia sostanziale, entrambe le sentenze sono state emesse nel rispetto formale delle leggi e delle regole democratiche: il Parlamento ha votato, i tribunali si sono espressi.

Gli stessi organi dello Stato Liberale, all’interno del quale Lula e Dilma pensavano d’aver trovato un compromesso tra capitale e lavoro, hanno mostrato la loro vera natura di classe e, con argomenti falsi e pretestuosi, hanno stroncato il sogno socialdemocratico brasiliano.

Lula è oggi in una cella a Curitiba perché ha dato voce ai lavoratori e cercato un Brasile migliore anche per loro all’interno del sistema capitalista. Il compromesso socialdemocratico è sì possibile, ma solo sotto vincoli esterni: il boom delle materie prime per il Brasile o il Patto di Varsavia alle porte per l’Europa. Tolti quei vincoli, il capitale torna a reclamare profitti e vite. Ecco perché bisogna abbattere il capitalismo e le istituzioni liberali che ne sono figlie: perché quando il dado è tratto, lo Stato Liberale imprigionerà sempre i Lula e lascerà liberi i Blair ed i Bush.

di Frunze

dal Sito nazionale della Federazione Giovanile Comunista Italiana

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