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Non rinunceremo mai a denunciare l’ingiustizia, afferma Renè Gonzalez

Renè Gonzalez, uno dei Cinque cubani, che domenica ha partecipato in Portogallo nel Festival del giornale comunista Avante, ha dichiarato che la sua priorità è lottare per la liberazione dei tre compagni che sono ancora prigionieri politici negli Stati Uniti.

Renè, insieme ad Antonio Guerrero, Fernando Gonzalez, Ramon Labañino e Gerardo Hernandez sono stati fermati negli Stati Uniti nel settembre del 1998, sottomessi ad un giudizio piagato di irregolarità e condannati a sproporzionate pene, per mettere in allerta la loro patria sugli atti terroristici della mafia di Miami.

Renè e Fernando sono già a Cuba dopo avere compiuto integralmente le loro pene, ma Ramon, Gerardo ed Antonio rimangono ancora in prigione.

“Non rinunceremo mai al diritto di continuare a denunciare l’ingiustizia che si è commessa”, ha detto Renè in un’intervista esclusiva a Prensa Latina, che trasmettiamo di seguito.

P-I Cinque sono stati arrestati 16 anni fa a Miami e condannati a lunghe pene. Potrebbe parlarci delle circostanze in cui si è sviluppato il processo?

Renè: Il processo si è portato a termine in un ambiente che si potrebbe paragonare ad un circo romano. Un ambiente terrorizzante, di propaganda opprimente contro i Cinque che -secondo quanto si è saputo dopo anni – è stato creato dai giornalisti pagati dal governo nordamericano.

Si è svolto a Miami, la città sbagliata, l’unico posto al mondo dove non poteva ottenersi una giuria imparziale e non poteva realizzarsi un giudizio giusto.

Questo è stato riconosciuto da molti organismi dei diritti umani, che hanno denunciato la violazione di tutte le leggi internazionali, compresa la stessa Costituzione degli Stati Uniti. Da lì il suo risultato.

P-Cosa vi ha aiutato a mantenervi tanto fermi durante tutti questi anni?

Renè: Io credo che sia la morale. Sapere che avevamo una statura morale di fronte ai pubblici ministeri, che loro non avranno mai, ci ha dato molta forza. Oltre alla correttezza di quello che stavamo facendo. Non si può giudicare nessuno per proteggere la vita umana, che è il bene più pregiato.

Questa combinazione di fattori ci ha dato la forza necessaria e ce la segue dando. A questo, si aggiunge la nostra formazione, essere figli di una Rivoluzione che ci ha inculcato l’attaccamento alla dignità umana.

P – Lei e Fernando Gonzalez siete già ritornati a Cuba, ma rimangono ancora tre dei suoi compagni in prigione. Qual’è la loro situazione giuridica?

Renè: Tutta la soluzione giuridica poggia sul fatto che la giudice si pronunci sulla mozione 2255 o “habeas corpus” che dopo -se è necessario – percorrerebbe tutto il tortuoso cammino dalla corte del distretto fino alla corte suprema.

Questa è una risorsa extragiudiziale, perché le risorse giudiziali sono già finite. Il processo è arrivato fino alla fine quando la corte suprema si è rifiutata arbitrariamente di rivederlo.

La cosa importante è che si sappia che questo è un caso determinato da ragioni politiche e la soluzione è stata programmata dai calcoli politici che hanno fatto la giudice ed il governo nordamericano.

Di lì l’importanza che diamo alla solidarietà, affinché esiga al governo nordamericano che si faccia giustizia.

Nella misura in cui il caso diventi incomodo per loro ed il fatto di mantenere i compagni incarcerati si possa percepire come ignobile dall’opinione pubblica, soprattutto dalla nordamericana, prenderanno la decisione politicamente corretta, che non è altro che applicare le loro leggi alla mozione 2255 ed in questo caso i compagni ritorneranno a Cuba.

P – Parlando della solidarietà. Qual’è la sua opinione della posizione di tante personalità e movimenti del mondo a beneficio della liberazione dei Cinque?

Renè: Per prima cosa dobbiamo ringraziare per tutta questa solidarietà. Dopo un lavoro arduo di molti anni è riuscita a rompere quel muro di silenzio dei mezzi di comunicazione e molte persone oneste nel mondo si sono incorporate alla causa dei Cinque.

È necessario potenziare la solidarietà, moltiplicarla e soprattutto lanciarla su Washington, sull’establishment nordamericano, che alla fine è quello che prende la decisione e necessitiamo che tutta questa energia si metta a fuoco su di loro, affinché prendano la decisione corretta.

P: Se voi, i Cinque, avete avuto un atteggiamento coraggioso, lo è stato anche quello delle vostre famiglie. Immagino che tutto ciò vi ha fortificati molto, in tutto questo tempo.

Renè: Naturalmente il ruolo della famiglia è incommensurabile. Le mogli, i figli che hanno continuato a crescere, i nostri genitori e fratelli, tutti hanno svolto un ruolo importante in questa lotta.

Loro hanno rappresentato degnamente la causa all’estero. Non ci si può dimenticare che io sono uscito un anno e mezzo fa, ma durante quasi 15 anni sono stati i parenti che hanno sostenuto la battaglia politica, la battaglia pubblica.

L’hanno fatto bene, con gran dignità. Ognuna delle loro vittorie è stata anche per noi una fonte di resistenza. Io credo che siano eroi in questa storia.

P- Come si sente adesso che è tornato al suo paese?

Renè: Mi sento felice, realizzato, onesto, inoltre per il privilegio che i cubani mi offrono ogni volta che camminiamo per le strade de L’Avana e ci salutano e vengono dove stiamo noi. Mi sento anche compromesso coi miei tre fratelli che alla fine stavano difendendoli, anche loro.

P: Qual’è ora la sua missione?

La mia priorità è lottare perché loro escano dalla prigione e ritornino a Cuba.

da Prensa Latina

di Amilcar Morales, inviato speciale

foto di Ladyrene Perez/Cubadebate
traduzione di Ida Garberi

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