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Abel Prieto: dobbiamo formare a Cuba un recettore critico della cultura

Abel Prieto

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Il ciberspazio si stava riscaldando in questi giorni a ritmo di reggaeton. Pronunciamenti televisivi, articoli, commenti, e-mail… si sono accumulati, soprattutto sul famoso Chupi-Chupi, e su questo ho percepito la necessità di pensare dal passato giugno, quando ancora ero una voce solitaria nel ciberspazio.

Ma, anche se questo video clip è stato l’esempio più evidente, quello che importa non è un’attuazione in particolare, bensì quello che simbolizza ed implica la sua diffusione attraverso i mass media. Per questo motivo, quando il ministro di Cultura Abel Prieto commentò durante la chiusura questo mercoledì dello Stage Internazionale sulle reti sociali, circa l’importanza di non adottare posizioni elitarie che potessero significare una barriera per sommare volontà negli impegni per un mondo migliore, decisi di interrogarlo alla fine del suo discorso.

- Fino a che punto, possiamo adottare nell’ambito delle produzioni artistiche queste posizioni inclusive e non elitarie, senza correre il rischio di cadere nel populismo, cosa che ci fa costruire degli artisti famosi con i piedi di argilla che poi vanno per il mondo dicendosi rappresentanti della cultura cubana?

-Credo che in temi come quello che tu abbordasti, di questa canzone che è stata tanto dibattuta, il ruolo della critica artistica è essenziale, affinché fornisca argomenti alla gente. Perché una delle trappole più grandi è pensare che ‘diamo alla gente quello che le piace’, accettando il gusto come qualcosa che non può essere arricchito, modificato; benché, chiaramente, senza imporre modelli. In queste questioni, la critica artistica ha un ruolo essenziale, e parlo di una critica che al tempo sia specializzata, sia accessibile per la gente giovane. Noi dobbiamo formare questo recettore critico, capace di consumare criticamente cultura; questa è una delle grandi priorità in qualunque tipo di impegno culturale che ci proponiamo.

-L’arte alternativa sembra essere di moda, come concetto. Ed in questa riunione sulle reti sociali si è dibattuto sull’alternatività come sovversione del potere. In che modo lei interpreta l’arte cubano con l’etichetta ‘alternativo’?

-Le industrie culturali si sono democratizzate. Prima tu dovevi fare una coda nell’EGREM affinché ti registrassero un disco, o dovevi presentare un copione all’ICAIC ed aspettare il tuo turno affinché te l’approvassero ed, in seguito, che ci fosse disponibile il presupposto. Oggi, puoi fare un film ed un disco in casa tua. Le nuove tecnologie favoriscono forme che prima erano solo industriali.

-Ma c’è chi pretende appropriarsi della qualifica di “alternativo” per ubicarsi negli antipodi del nostro progetto sociale…

-Può esistere anche questa trappola. Per questo motivo le istituzioni devono avere la flessibilità, l’attenzione sufficiente, ai processi creativi innovativi che possono considerarsi “alternativi”. Io non conosco –ed in questo momento credo di essere molto vicino all’Asociacion Hermanos Saiz (associazione dei giovani artisti cubani) ed a quello che si sta facendo nelle province – nessun artista valido che oggi usi la sua arte per attaccare la Rivoluzione o per proiettarsi in una traiettoria come dissidente. Non ne conosco nessuno.

-Los Aldeanos, come gruppo di musica alternativa è stato polemico e si è fatta una lettura della loro opera da punti di vista molto diversi.

-Io credo che Los Aldeanos sono gente rivoluzionaria, sono stati negli Stati Uniti ed hanno avuto una posizione tremendamente conseguente. Nel loro lavoro, come in quello di altri nostri rapper, c’è una critica sociale ed etica che tratta quello che dobbiamo discutere a Cuba. Quello che chiamiamo “alternativo”, cioè, quello che si fa in termini di arte fuori dalle istituzioni, se è autentico, se ha valore, deve avere un spazio nella nostra politica culturale. Credo che bisogni sempre riconoscere che l’Asociacion Hermanos Saiz è stata molto attenta a queste zone vive della creazione che nascono e crescono fuori dalla cornice istituzionale. Cioè, la frontiera non è nei contenuti di una o un’altra opera, in un messaggio od in un altro, bensì nel ricevere denaro dai nostri nemici.

articolo di Vladia Rubio

preso da www.cubadebate.cu

traduzione di Ida Garberi

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