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Rivoluzione e nuovo contratto sociale a Cuba?

ordenamiento-monetario-cuba-portada-940-580x321Tra varie volte sommando e sottraendo, moltiplicando e dividendo, conti e più conti che vanno e vengono, che sono aggiustati e riadattati, che vanno su o giù – ci ricordiamo di quel ritornello: “Ho una pallina che va su e giù …” – potremmo ovviare, dopo aver varcato la linea compromettente del Giorno Zero, che, come insegna Il Piccolo Principe, non di rado l’essenziale è invisibile agli occhi.

Ha tutta la logica del mondo che ogni cittadino, ogni famiglia e istituzione nazionale – o internazionale con interessi o relazioni nel paese – soffra in questo momento di una sindrome di adattamento – come il padre che porta il bambino all’asilo il primo giorno – , per l’incapacità o l’ossessione di andare d’accordo con il suo “sistema contabile” e per quest’altra nuova e stressante normalità imposta dalle riforme monetarie, valutarie e salariali.

È anche assolutamente ragionevole che, man mano che questi conti si chiariscono nelle ore e nei giorni dello scontro tra nuove entrate e prezzi di prodotti e servizi, diverse correnti di opinione si intersecano e si innescano, in buona misura dettate da quella percezione collettiva del buon senso – non sempre il più comune dei sensi – e dal luogo in cui il processo ci ricolloca nella piramide sociale.

In una trasformazione strutturale della profondità e delle ramificazioni che viviamo adesso, dell’influenza che eserciterà sull’esistenza di ogni individuo, comunità umana o istituzione, era prevedibile che i suoi architetti non potessero prevedere come avrebbe funzionato ciascuna variabile se inserita nell’ostinata realtà, dove la migliore opzione a favore del suo successo è il carattere flessibile di qualsiasi decisione.

Il tutto è rivedibile, e inoltre riparabile, e questo è un principio della strumentazione del cosiddetto “Compito di Ordinamento” , chiaro fin da quando questa follia di calcoli quotidiani non si era ancora scatenata, e che delude chi pretende presentare le numerose rettifiche come risultato delle pressioni sociali o dell’esaurimento del consenso politico, come conseguenza dell’allontanamento tra il popolo e la leadership rivoluzionaria.

Le sciocchezze, la sproporzione e l’insensibilità che apparivano erano all’interno dei calcoli, in uno scenario in cui numerose decisioni sono decentrate, compresa quella di un’ampia fascia di prezzi, in un paese privo di quella cultura e di livelli orizzontali di responsabilità e dove, purtroppo, i prezzi sono stati la copertura di tante assenze, inefficienze e insufficienze, alle quali il Compito di Ordinamento ha strappato le maschere completamente.

Il prezzo di un parco giochi, una sala da pranzo di una comunità di lavoratori o anziani, il gelato di Coppelia de L’Avana o il pane della tessera annonaria non erano ancora apparsi, e la peggior nuvola all’orizzonte dei cambiamenti era che stava aumentando vertiginosamente l’inflazione, o che gli speculatori “sarebbero impazziti”, fatto che fin dall’inizio si sapeva che poteva accadere, sia nel settore statale che in quello privato.

Quella lampadina politica rossa di prima della ripresa iniziale questo 1º Gennaio, oltre ad altre meticolose previsioni volte a tutelare le fasce più vulnerabili – e che vanno seguite con zelo e tenacia andando avanti, dall’isolato, attraverso i media, fino alle massime magistrature -, era la prova che non saremmo stati testimoni a Cuba di una versione tropicalizzata del “socialismo neoliberista”, una teoria che cerca di intrufolarsi nelle viscere dei social network e nell’ecosistema dei media controrivoluzionari.

Se tutto quanto sopra è vero, è anche vero che c’è un conto da cui nessuno può liberarci, e che è il più ingombrante, nevralgico e invitante di tutti: Cuba sta assistendo alla seconda riconfigurazione, e sicuramente la più drammatica, del contratto sociale della Rivoluzione nel periodo socialista.

Se con la prima Costituzione dopo il 1959, quella del 1976, l’ordine borghese nel paese fu smantellato per iniziare il cammino di costruzione di una società socialista, che rivendicasse e temprasse le aspirazioni di una patria in libertà e con giustizia sociale, con tutti e per il bene di tutti, come postulato da José Martí, con quella del 24 febbraio 2019, si vuole superare il modello di socialismo del XX secolo che, sebbene corrosivo e carente come dimostra il suo crollo nell’URSS e nell’Europa orientale, è stato funzionale per Cuba per un lungo periodo.

Avendo compreso la lezione che tra gli errori più gravi dell’idealismo – riconosciuto da Fidel – c’era la convinzione che qualcuno sapesse come fosse costruito il socialismo, il modello cubano oggi cerca di aprire le proprie strade, sotto la premessa marxista e latinoamericana di José Carlos Mariátegui, di che questa deve essere una creazione eroica. Ma, soprattutto, non la creazione di una qualsiasi élite illuminata, ma quella di un popolo impegnato in un destino per il quale ha combattuto per secoli.

Pertanto, si deve evitare che mentre tenti di aggiustare la tortuosità del sentiero, accada come al personaggio di Juan in una favola: “Non c’è dubbio, non c’è dubbio, Juan è stato ucciso dalla strada, sì, la strada l’ha ucciso, lo affermo e lo riaffermo …”.

Come ammonisce tanto Graziella Pogolotti, la più importante contesa di contemporaneità avviene tra tecnocrazia e umanismo.

Questa è anche la tremenda battaglia cubana: trasferire con successo il suo modello di socialismo nel tempestoso XXI secolo, con l’essere umano come centro di tutte le decisioni e come vero protagonista. Uomo libero da ogni alienazione, come ha affermato Che Guevara in El Socialismo y el hombre en Cuba.

La rivoluzione cubana è stata sfidata a prendere misure tecniche adeguate e sagge, che sono allo stesso tempo perfettamente connesse con la sua vocazione umanista. In quell’equazione, sommando, sottraendo, dividendo o moltiplicando, ci dovrebbero sempre tornare i conti, perfettamente.

di Ricardo Ronquillo

da Cubadebate

traduzione di Ida Garberi

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