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L’uomo, la bandiera, l’evocazione

Foto de Juan Camilo Cruz nella mostra

Foto de Juan Camilo Cruz nella mostra

Dopo cinque anni di incontrarci nei corridoi della facoltà, rivedo Juan Camilo nell’esposizione di foto del Che. Non è un caso che sia lì: ha lavorato gli ultimi cinque mesi insieme a Roberto Chile nel montaggio e nella preparazione della mostra. Lui lo ha fatto “per commemorare l’anniversario della caduta del Guerrigliero; ed inoltre perché un gruppo di giovani potesse partecipare alla mostra con la loro opera, ed in compagnia di grandi fotografi di questo paese.”

“È certo che a volte si è abusato dell’immagine del Che. Ma considero che l’amplissima diffusione che ha avuto come simbolo, ha anche il suo aspetto positivo: è, cioè, dimostrazione che è presente; che, in un modo o nell’altro, la gente lo pensa.”

Roberto Chile spiega che gli rendono tributo con quello che fanno: arte, in questo caso, la fotografia. “Eternamente Che sono tre generazioni di fotografi: per primi, quelli che ebbero il privilegio storico di fotografarlo in vita, in piena costruzione rivoluzionaria. Poi, un gruppo di fotografi meno vecchi degli altri e per ultimi quelli che mi seguono, dando così continuità alla linea che ha cominciato Josè Alberto Figueroa, registrando l’immagine del Che nelle pareti, negli oggetti, nelle manifestazioni, nella vita quotidiana”. Allora, per continuare, c’è la partecipazione di giovani di circa venti anni che espongono, alcuni, per la prima volta. Roberto sottolinea come “una delle cose più belle di questa esposizione” che tra alcune fotografie sono trascorsi più di 50 anni.

Liborio Noval, Salas, Korda, avevano questo mondo di personaggi ed avvenimenti da immortalare. Che personaggi, che eventi stimolano i giovani fotografi di oggi? Roberto Chile mi dice che devono identificare le loro icone, quello che muove la spiritualità della gente in questo tempo. “Devono incontrare il lato più umano e più tenero della Rivoluzione; trascendere il libello inutile, e far sì che la Rivoluzione rinasca ogni giorno. Qual’è questo lato? Sono loro gli unici che possono dirlo”. Juan Camilo fotografa “il giorno per giorno, la quotidianità, il lavoro giornaliero dei cubani”. L’epica del 2000? Non lo sapremo oggi.

Un’immagine vista da tre generazioni. Differente, ovviamente. Necessariamente differente. Si tratta di un Che eterno, come il titolo suggerisce; ma non unico, non lo stesso. L’immaginario di ogni epoca lo mette nelle sue cornici, lo costruisce dentro i suoi schemi, rappresentazioni, orizzonti.

Dietro le camere, per primi, quelli che hanno convissuto con l’uomo, quando non era slogan, né immagine, né icona; quando era un leader carismatico, ribelle attraente, un personaggio inquietante. Dopo, quelli che sono cresciuti ascoltando parlare di lui da vicino, ricordi recenti, freschi nella memoria, fatti di alcuni giorni fa. Alcuni giorni fa che all’improvviso sono alcuni anni fa. Dopo, i miei contemporanei ed alcuni un po’ più grandi. Noi, quelli della fine del secolo e perfino del millennio, a cui l’immagine arriva come un eco dell’eco (dell’eco); quando la parola “Che” ostenta maiuscole già enormi, incommensurabili; in tempi in cui costa, con tanto rumore nel mezzo, con tanto metallo fuso, tanto marmo, con tanta distanza e polvere e carte ingiallite, arrivare fino all’uomo ed anche alla bandiera. Quanto costa, ma si riesce, a volte. Si percepisce una presenza, si tocca, si intuisce.

Inevitabilmente un’eco, certo. Ma che eco, come una voce.

di Monica Rivero

preso da www.cubadebate.cu

traduzione di Ida Garberi

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