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Silvio in Alamar: Elogio all’imprudenza o Su come fu l’oscurità luminosa

9 settembre: arriva il secondo anno, ventiquattro mesi esatti da quel pomeriggio in cui Silvio Rodriguez arrivò a La Corbata ed, in uno scenario per strada, cantò per gli abitanti del posto. A quello, seguirono 32 quartieri, ed arriva questa notte il numero 34. Oggi in Micro X, Alamar.

Già presto, c’è molta gente del vicinato. C’è anche la “Tropa Cosmica”, un gruppo di amici di differenti paesi, uniti dall’amore alla Nuova Trova, e per essere, come loro stessi si definiscono, “silviofili.”

Arrivava, sì, il concerto 34. Tutti l’aspettavano, era sicuro. Ma sembrò all’improvviso di no, che si dileguava la possibilità, potenziale catastrofe all’orizzonte: il generatore elettrico che si utilizza in tutte le presentazioni non c’è. Secondo certi calcoli, non potranno trasportarlo dal quartiere del Cotorro in tempo sufficiente affinché il concerto incominci alla ora prevista: le 8 di sera. Indubbiamente si potrebbe ritardare… Ed è questa la soluzione.

Nulla, un piccolo sbaglio, un inconveniente che non era mai successo prima, ma che non risulta essere un grande problema. Lo spavento passa. Sollievo, calma. Ma la calma non dura molto.

Un blackout. Totale, completo, tremendo. Per quasi tutti, si porta via, con la luce elettrica, la certezza di vedere ed ascoltare Silvio ed i suoi invitati. C’è il generatore, ma la sua priorità è per lo scenario, il suono, le luci; tutto il resto rimarrà oscuro in questa notte senza luna. So che i responsabili dell’ordine fanno notare che senza luce per il pubblico “il tutto” è rischioso, che non è sensato fare un concerto nell’oscurità, che c’è troppa gente concentrata in questo posto, e non ci sarebbe maniera di prendere una misura in caso di qualsiasi avvenimento avverso… Ma è Silvio, che sta per arrivare, che deve prendere la decisione definitiva.

Appare finalmente al fondo di una strada oscura. Entra nella casa della comunità che si offrì per accoglierlo, e viene a sapere la situazione. L’informano che si tratta di una rottura di grande importanza: manca il fluido elettrico da Camagüey fino a Pinar del Rio, e si pensa che trascorreranno cinque o sei ore prima che il servizio sia ristabilito. Gli fanno notare che non è prudente, che manca sicurezza… Lui che ha cantato sotto acquazzoni, che ha cantato dopo avere asceso 1974 metri sul livello del mare, che si è presentato in fabbriche, università, accampamenti militari, che ha interpretato le sue canzoni vicino al sibilo delle pallottole…, fa una pausa e domanda in tono retorico:

- Quanti concerti abbiamo fatto?

- 33 – risponde qualcuno della squadra.

- Quante risse abbiamo avuto?

- Nessuna.

Non aggiunge nulla di più. Questo, lo decide tutto: il concerto si farà. La gente non può andare via dopo avere aspettato tanto. Tutto si svolgerà tranquillamente: “Credetemi.”

È un’eventualità grande che lui che sempre ha una pila con sé, non ne abbia adesso nessuna, commenta cambiando il tema. Sono vicina e l’ascolto. Gli offro la luce della mia. Lo vedo e mi domando se dopo 33 concerti in quartieri con caratteristiche simili, l’esperienza lascia ancora spazio per lo stupore, per la sorpresa. Mi azzardo a formulargli l’interrogante, e tra gli accordi della sua chitarra – che sta accordando –, mi racconta: “Realmente noi abbiamo incominciato un po’ ciechi, e ci siamo aperti gli occhi lungo il cammino. Un po’ già sappiamo di che cosa si tratta; ma ogni concerto l’abbiamo vissuto come un’esperienza differente dal resto. I repertori anche se sono sembrati simili, hanno funzionato diversamente in ogni quartiere. Ogni luogo è unico, ed ogni zona dove arriviamo, è come un posto vergine. Sono tante le sorprese…” Ed oggi quello che è successo lo conferma.

Ma ci sono anche cose che si ripetono: “Non è cambiata la situazione che motivò questa tournée: farla nei quartieri meno favoriti, i più poveri e più emarginati. Dubito che finché vivrò, questo cambi radicalmente. Magari migliorerà un po’, almeno spero, e diventi meno necessario questo lavoro che stiamo realizzando. Ma io non penso a questo, io penso che questa tournée non finisce mai.”

- Perché vale la pena farla?

- …perché la gente ci ringrazia e perché la cultura sta da tutte le parti.

Un’ora e 25 minuti dopo l’orario pianificato inizialmente, incomincia uno dei più straordinari concerti della tournée per i quartieri. Volevo solo aggregare, se qualcuno insistesse nel dire che il concerto 34 non era prudente realizzarlo, non era sensato portarlo a termine: Felice imprudenza, benedetta insensatezza…

preso da www.cubadebate.cu

scritto da Monica Rivero

foto di Alejandro Ramirez Anderson

traduzione di Ida Garberi

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