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Il massacro in Afghanistan non fu una pazzia

 

Robert Bales (all'estrema destra), il sergente statunitense accusato di uccidere 16 civili nella provincia afgana di Kandahar, in un'immagine scolastica del 1990-91 e diffusa ieri dal quotidiano The Cincinnati Enquirer, della stessa città nello stato dell'Ohio. Foto Ap

Robert Bales (all'estrema destra), il sergente statunitense accusato di uccidere 16 civili nella provincia afgana di Kandahar, in un'immagine scolastica del 1990-91 e diffusa ieri dal quotidiano The Cincinnati Enquirer, della stessa città nello stato dell'Ohio. Foto Ap

Incomincia a stancarmi questo racconto del soldato demente. Era pronosticabile, ovviamente. Non appena il sergente di 38 anni che massacrò domenica scorsa 16 civili afgani, tra questi nove bambini, vicino a Kandahar, ritornò alla sua base, già gli esperti in difesa ed i ragazzi e le ragazze dei centri di pensiero annunciavano che era impazzito. Non era un perverso terrorista senza viscere -come sarebbe logico, naturalmente, se fosse stato afgano, specialmente talebano -, bensì solo un tipo che era impazzito.

 

Questa stessa sciocchezza si usò per descrivere i soldati statunitensi omicidi che perpetrarono un’orgia di sangue nella città irachena di Haditha. Con la stessa parola si descrisse il soldato israeliano Baruch Goldstein che massacrò 25 palestinesi ad Hebron, qualcosa che ho fatto notare su questo stesso giornale alcune ore prima che il sergente impazzisse all’improvviso nella provincia di Kandahar.

Sembra che sia impazzito, hanno annunciato i giornalisti. Un uomo “che probabilmente aveva sofferto qualche collasso (The Guardian)”, un soldato ruffiano (Financial Times) il cui disturbo (The New York Times) è stato senza dubbio (sic) perpetrato in un momento di pazzia (Le Figaro).

Davvero? Si suppone che ci crediamo? Chiaro, se fosse stato pazzo completamente, il nostro sergente avrebbe ammazzato 16 dei suoi compagni statunitensi. Avrebbe assassinato i suoi camerati e dopo avrebbe dato fuoco ai corpi. Ma no, non ha ammazzato degli statunitensi; ha scelto di ammazzare degli afgani. C’è stata un’elezione. Perché, allora, ha ammazzato degli afgani?

Esiste una pista interessante in tutto questo, che non è apparsa nelle relazioni dei mass media. In realtà, la narrazione dei fatti è stata curiosamente lobotomizzata -censurata, perfino – da coloro che hanno trattato di spiegare l’atroce massacro a Kandahar. Ci ricordiamo l’incendio degli esemplari del Corano -quando soldati statunitensi a Bagram li hanno gettati in un falò – e le morti di sei soldati della NATO, due di loro statunitensi che sono seguite al fatto. Ma fatemi a pezzi se non hanno dimenticato -e questo si applica a tutti gli articoli sul recente massacro – una dichiarazione notevole e sommamente significativa del comandante in capo dell’esercito statunitense in Afghanistan, il generale John Allen, esattamente 22 giorni fa. In realtà, è stata una dichiarazione tanto inusitata che ho ritagliato le parole dal mio giornale mattutino ed ho messo il ritaglio nella mia valigetta per un riferimento futuro.

Allen ha detto ai suoi uomini: Questa non è l’ora della vendetta per le morti dei soldati statunitensi nei tumulti di giovedì. Ha affermato che dovevano resistere a qualunque urgenza che sentivano di restituire il colpo, dopo che un soldato afgano aveva ucciso i due statunitensi. “Ci saranno momenti come questo in cui starete cercando il significato di queste morti -continuò -. Momenti come questo in cui le vostre emozioni saranno governate dalla rabbia e dal desiderio di rivincita. Questa non è l’ora della vendetta; è l’ora di guardare nel fondo della vostra anima, di ricordare la vostra missione, ricordare la vostra disciplina, ricordare chi siete voi.”

E’ stato un appello straordinario, venendo del comandante in capo degli Stati Uniti in Afghanistan. Il generale è stato obbligato a dire al suo esercito, che si suppone sia ben disciplinato, professionista, di elite, che non riscuota vendetta negli afgani che si suppone sta aiutando/proteggendo/educando/addestrando, etc. Ha dovuto chiedere ai suoi soldati che non commettessero assassini.

So che i generali dicevano queste cose in Vietnam. Ma, in Afghanistan? Già siamo arrivati a quest’estremo? Temo di sì. Perché, per quanto mi disgustano i generali, ho trattato con molti di loro di persona e, di solito, hanno un’idea abbastanza azzeccata di quello che succede nelle loro file. E sospetto che il generale John Allen fosse già stato avvisato dai suoi ufficiali che i suoi soldati erano furiosi per le morti che seguirono l’incendio degli esemplari del Corano e che forse avevano deciso di intraprendere una scalata di vendetta. Per questo motivo trattò in un modo tanto disperato -in una dichiarazione tanto impattante come rivelatrice – di prevenire esattamente un massacro come quello che è accaduto domenica scorsa.

Tuttavia, questo messaggio è stato cancellato completamente dalla memoria degli esperti quando analizzarono questo massacro. Non si è permesso nei loro racconti nessun’allusione alle parole del generale Allen, nessun riferimento, perché, naturalmente, avrebbero tirato fuori il nostro sergente dal gruppo degli impazziti e gli avrebbero dato un possibile motivo per il massacro. Come d’abitudine, i giornalisti dovettero mettersi nel letto con il militare per procreare un demente e non un assassino. Povero tipo: stava male nella testa. Non sapeva quello che faceva. Non è strano che l’abbiano tirato fuori dall’Afghanistan tanto rapidamente.

Tutti abbiamo avuto i nostri massacri. Lì sta My Lai, ed il nostro stesso My Lai britannico, in un villaggio malese chiamato Batang Kali, dove le guardie scozzesi -avvolte in un conflitto contro spietati insorti comunisti – assassinarono 24 indifesi lavoratori della tela cerata, nel 1948. Chiaro, si può ricordare che i francesi in Algeria furono peggiori che gli statunitensi in Afghanistan -si dice che un’unità francese di artiglieria ha fatto sparire 2 mila algerini in sei mesi -, ma questo è come affermare che siamo migliori che Saddam Hussein. Certo, che classe di parametro di moralità.

Di questo, tratta il tutto. Disciplina. Moralità. Valore. Il valore di non ammazzare per vendetta. Ma quando uno continua a perdere una guerra che finge di stare vincendo, mi riferisco all’Afghanistan, ovviamente -, suppongo che questo sia sperare troppo. Sembra che il generale Allen stesse perdendo il suo tempo.

testo di Robert Fisk, corrispondente per il Medio Oriente del quotidiano britannico, The Independent

preso da www.cubadebate.cu

traduzione di Ida Garberi

1 Commento

Commento all'articolo
  1. giuseppe / bravo

    Articolomolto interessante

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