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SOPA congelata, di fronte alla polemica dei congressisti e della società nordamericana

Il Congresso degli Stati Uniti (USA) ha deciso di congelare in maniera indefinita il dibattito e la votazione della polemica legge sulla anti-pirateria in Internet, migliore conosciuta come legge SOPA (Stop Online Piracy Act), fino a quando non si incontri un consenso tra la Camera ed il Senato sul tema e sugli impatti che avrebbe.

Il dibattito era previsto per questo 24 gennaio, ma alcuni congressisti considerano pertinenti lo studio e la considerazione di altre norme simili che si sono presentate anteriormente.

Inoltre, la decisione del Congresso si dà dopo che la legge è stata motivo di forti critiche e denunce da parte di gruppi civili di utenti che si oppongono all’indagine di informazioni nella Rete e del contenuto per il quale navigano e scaricano le persone.

Questa norma giuridica autorizzerebbe al Dipartimento di Giustizia ad investigare, perseguire e sconnettere a qualunque persona o impresa che possa essere accusata di pubblicare un materiale considerato illegale dentro e fuori dal paese.

Se sarà approvata, i siti web trovati colpevoli potrebbero ricevere delle sanzioni, tra queste l’impossibilità di offrire o negoziare modelli pubblicitari ad altri portali, e sarebbero anche eliminati dai risultati di ricerca dei servizi attraverso portali come Google e Yahoo.

Un comunicato ufficiale di Washington recensì che sono totalmente d’accordo con che le industrie di cinema, musica, giochi ed altri, devono proteggersi dalla pirateria, però aggregano che ciò non significa passare a possedere i diritti del resto.

Davanti a ciò, ore prima di questa decisione, il repubblicano Lamar Smith, promotore della Legge, annunciò che proporrà ritirare la possibilità di bloccare l’accesso ai siti sospettosi di vulnerare la proprietà intellettuale.

Da quando diventò pubblico il progetto in ottobre del 2011, è sorta una reazione contraria da parte dei difensori dalla libertà in Internet e compagnie di Internet come Google, Facebook, Yahoo, eBay, Twitter, LinkedIn e Mozilla.

Queste compagnie firmarono una lettera nella quale denunciarono che fare pressioni sui fornitori di accesso per monitorare l’attività dei loro clienti, può supporre una grave invasione dell’intimità.

preso da www.cubadebate.cu

traduzione di Ida Garberi

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